giovedì 30 gennaio 2014

Sono una ragazza all’antica

Sono una ragazza all’antica, mi piace il libro di carta.
Sono affezionata al gesto di sfogliare le pagine, preferisco quelle in carta ruvida di un certo spessore. Mi piace fare le orecchie per marcare il segno dove sono arrivata e detesto i segnalibri che cascano in terra appena apri il punto giusto. Mi piace usare una matita per sottolineare i passaggi che mi hanno colpito e potermeli rileggere dopo. Commento a margine, tra le righe, sopra e sotto.
Apprezzo sentire il peso del volume che mi sto portando dietro e non mi infastidisce se chi mi sta intorno capisce di che cosa si tratta sbirciando la copertina. Immagino anzi gli sguardi sconvolti quando si accorgono che una bionda (in rosa) legge Hawking, Penrose, Feynman.
Perché la cultura è affascinante ma ancora di più lo è la scienza teorica, quel mondo all’apparenza infinito, che muta rapidamente forma insieme alle sue teorie. Perché gli esploratori dell’ignoto non sono quelli vestiti come Indiana Jones, ma sono cervelli divini racchiusi in corpi a cui, talvolta, non daresti la minima attenzione.

Sono una ragazza all’antica, mi piace chi pensa con la propria testa.
Chi usa tutta quella piccola percentuale di neuroni del nostro cervello che gli studiosi dicono al massimo siamo in grado di sfruttare. Chi non si ferma davanti alla prima risposta ma nemmeno alla seconda o alla terza. Chi vuole capire davvero.
Sposerò l’uomo che riuscirà a spiegarmi la Statistica facendomela amare!
Perché stiamo omologando le menti. Il luogo comune non è più retaggio della saggezza popolare, è proprio il deserto dell’intelletto. La banalità è la via del successo sociale. Perché in un mondo di mediocri, l’eccellenza non può essere compresa, né incoraggiata.
Perché abbiamo fatto in modo che Questi Tempi non richiedano la nostra parte migliore e non stiamo facendo niente per inventare Altri Tempi (per chi se ne è accorto, è una diretta citazione di Baol, Stefano Benni).

Sono una ragazza all’antica, mi piace l’onestà di intenti.
Mi piace avere un obbiettivo che appassiona, per il quale consumare energia, avere una strada da percorrere che conduca alla costruzione di qualcosa e non alla sola affermazione di sé.
Perché siamo ciò che siamo indipendentemente dal contesto, sminuire l’altro non eleva il proprio io. Perché abbiamo smesso di misurarci con noi stessi e siamo incapaci di darci un valore, ci guardiamo attraverso il vetro sporco dell’invidia. E per emergere in un campo di merda bastano anche 10 centimetri, ma la puzza si sente lo stesso.

Sono una ragazza all’antica, mi piace la verità.
Anche cattiva, anche dura, anche se fa male.
Mi piace chi ammette la verità e ne accetta le conseguenze. Mi piace chi non nega i propri limiti perché averne coscienza è già in parte superarli. Mi piace chi affronta ogni cosa senza mistificare.
Perché le bugie peggiori le diciamo a noi stessi e solo a noi nuocciono davvero. Perché farti amare per ciò che non sei è una condanna, non una conquista.

Sono una ragazza all’antica.
Non mi piace questo oggi approssimativo, la meritocrazia ipocrita, il rispetto spannometrico.
Mi arrabbio se un giornalista sbaglia un congiuntivo, perché non ha considerazione per i suoi lettori; mi arrabbio se la stagista non cura la formattazione, perché la cialtroneria è sintomo di menefreghismo. Che parte nel piccolo, dentro di noi, e dilaga nella massa quando anche un rutto diventa poesia.

Sono una ragazza all’antica e sinceramente sono anche un po’ stufa.

lunedì 20 gennaio 2014

Spleen

La tristezza è una cosa relativa. In fondo alla fine potrebbero essere solo ormoni. Alle donne questo concetto è estremamente chiaro: non serve un motivo ‘reale’ per sentirsi tristi, basta che l’umore vada a puttane per mezza giornata e il gioco è fatto. Ma non è forse un motivo reale anche questo? Perché la causa chimica dell’infelicità viene non soltanto declassata a motivazione inesistente, ma addirittura considerata negativamente?
E questo ci penalizza davanti agli uomini? O dovrebbe farlo?

Sarò controcorrente ma io ritengo che sia il contrario. Da secoli noi siamo biasimate ma anche giustificate ad essere assurdamente infelici in certi momenti del mese, oppure depresse ‘senza una ragione’, o soggette a cambiamenti di umore improvvisi (ve li spiego io: una fa finta che vada tutto bene e sia tutto perfetto fino a che a un certo punto la diga crolla e la valle si allaga completamente di lacrime). E loro, i maschi? I loro ormoni sono come orologi svizzeri? Il loro cervello è sempre così pragmatico che non si inventa mai un dolore che non c’è? L’insoddisfazione in loro genera sempre voglia di rivalsa e nuova energia e mai malinconia e frustrazione?
Ma dico, stiamo scherzando? Mi stai a pigliare per il mioponfettoamandolinoinfondoallaschiena?

La verità è che esprimere tristezza immotivata è una debolezza che l’uomo non può permettersi. In primis, non piange mai. In secundis, se proprio versa qualche lacrima è perché si è rotto tibia e perone in un contrasto duro a calcetto o è morto il mentore della sua vita. Figuriamoci cosa accadrebbe se ammettesse di essere infelice ‘per i mali del mondo’! Perculamento a vita. Eppure deve sfogare questo dolore in qualche modo, un essere umano normale è come un serbatoio: senza il tubo del troppopieno esplode. E dunque cosa fa? Porta agli estremi le vie legittime che gli sono concesse.

Ecco che l’uomo non avrà mai ‘un raffreddore’: o è un lieve malessere irrilevante o è in punto di morte.

Eppure, se solo gli uomini sapessero quanto è stramaledettamente figo un uomo che confessi d’essere triste, abbracciando una sorta di empatia universale che, come un’onda, ora ti mostra le stelle, ora ti getta nell’abisso! Mica solo i poeti hanno l’esclusiva!
Evitiamo d’arrivare al Male di Vivere, però, accettabile solo se supportato da una estrema sensibilità, che negli altri casi si chiama depressione e vittimismo mischiato al narcisismo ferito.

Eh, ma allora non ti va mai bene niente!

Tipica affermazione da maschio. O è bianco o è nero. Ma secondo voi, una donna che ha qualche momento di spleen deve per forza essere depressa? E non può essere lo stesso per l’uomo?
Quanto è sexy un uomo che ammetta di non sapere tutto, ma di avere la voglia e l’energia per imparare? Quanto è affascinante un uomo che confessi di non capirti ma di amare il tuo mistero? E di rispettare che a volte sei giù e vuoi solo che qualcuno stia con te senza pretendere?

Scherzando sempre sostengo che il maschio è una razza inferiore. La verità è che siamo incompatibili, profondamente e assurdamente incompatibili. Ed è questo il bello! Far funzionare le cose, facile nei momenti up quanto complesso nei momenti down. Ma lì sta la magia.

La verità è che vorrei avere il diritto di non essere sempre un vulcano di energia positiva e riuscire ad essere apprezzata anche in quei momenti, perché sono sempre io, sempre la medesima svalvolata ed eclettica bionda. Forse se i maschi si accettassero di più, apprezzerebbero di più anche noi.

martedì 8 ottobre 2013

C’è un po’ di Tafazzi in ognuno di noi

A cosa pensiamo quando ce le tiriamo addosso da soli? Vi è mai capitato di farvi a posteriori questa domanda? Perché è evidente che l’allarme interiore ci stava urlando di fermarci ma lo abbiamo ignorato alla grandissima. Di certo quindi avevamo un altro motivo, probabilmente inconscio, che ci ha spinto a continuare nella nostra direzione autodistruttiva.
L’avete mai notato? In genere tali autogol sono assolutamente inutili, evitabili e irrilevanti se non per l’aspetto dannoso e autolesionista.
Facciamo un esempio.
Parliamo della Barilla (ebbene sì, anche io!) e dell’uscita ‘infelice’ avuta dal pronipote del fondatore durante l’intervista con Cruciani.
Per prima cosa c’è da dire che se ti ritrovi sotto il torchio (anzi, citiamolo: il tritacarne) di Cruciani non puoi sperare di uscirne indenne; magari ti sbuccerai solo le ginocchia, ma un po’ di sangue finirai per versarlo. Secondo, l’uscita era sì infelice ma voluta. Perché la risposta tafazziana è stata la seconda, quando quella vecchia volpe di Beppe ha voluto approfondire una frase che altrimenti sarebbe potuta evaporare tra le pieghe del ponte radio: “senza disturbare gli altri”. Certo è che se Cruciani se la fosse lasciata sfuggire, non sarebbe più stato degno della sua fama.
E così, alla richiesta di spiegazioni, ‘lo sventurato rispose’.
Avrebbe potuto accendere il cervello e svicolare, gettare acqua sul fuoco, recuperare l’amo prima che il pesce (lo squalo) abboccasse (pappandosi tutta la barca). Ma non è stato così. Quasi con una punta di orgoglio, Guido Barilla ha voluto spiegare cosa intendesse per e perché per la sua azienda preferisse la famiglia tradizionale (trascuriamo il concetto di ‘tradizionale’ applicato a un sex simbolo gay che convive con una gallina).
E’ assolutamente inutile che cerchi di spiegare perché il patron di Barilla abbia profondamente torto, non solo per quella che potremmo osare chiamare una legge naturale che da sempre ammette l’omosessualità nel regno animale, ma a fronte delle centinaia di esempi di famiglia che tradizionalmente esistono non solo in Italia e che non corrispondono per niente al Mulino Bianco. In più il tempismo sembra perfetto per farsi del male, considerato lo ‘strappo nel cielo di carta’ che oramai si sta allargando, rivelando quanto la realtà di ‘famiglia’ al giorno d’oggi comprenda le più svariate possibilità, tutte valide, tutte degne (perché solo l’amore è ciò che conta). La società ne sta prendendo coscienza adesso, questo è il momento della rivoluzione gay, adesso le coscienze si stanno svegliando e il mondo occidentale capisce che abbiamo vissuto nell’ipocrisia.
Se Guido Barilla avesse fatto le sue esternazioni trent’anni fa, non si sarebbe sollevato tutto questo polverone. Purtroppo.
Invece lui le ha fatte adesso. Di più: le ha volute fare, ha proprio scientemente deciso di bastonarsi in pubblico. La domanda è: perché?
Ci possono essere molte risposte e credo che siano un po’ tutte valide:
-          Si odia per qualcosa e segretamente vuole punirsi;
-          Odia la sua azienda ma non sa come uscirne e sta cercando di farsi buttare fuori;
-          Vuole sfidare il mondo per mettere alla prova il suo pensiero nel quale crede (ognuno ha diritto di pensarla come vuole, senza disturbare);
-          È un po’ ingenuo e non si è reso conto che oramai la società sta accettando la realtà delle coppie omosessuali;
-          Non sa cosa sia una strategia di marketing;
-          Temporanea infermità mentale.
Tra queste possibilità, mi soffermerei sulla prima, perché credo che sia quella che ci accomuna tutti quando perseveriamo in una cazzata pazzesca: vogliamo punirci. Se veramente concordiamo con la vocina interiore che ci sta dando dei coglioni, perché la ignoriamo? Non vedo altro motivo che l’autolesionismo, un Tafazzi senza conchiglia insomma.
Vogliamo parlare di Crimi? No, dai, no.
E gli esempi illustri sono moltissimi, quindi chissà quanti sono quelli meno illustri.
In quanto bionda posso dire di avere dalla mia il vantaggio che generalmente non mi ricordo a lungo le cose e dunque anche tutte le cavolate che faccio, con la conseguenza di una vita abbastanza serena ma anche una scarsa capacità di imparare dai propri errori e di fatto ripeterne alcuni considerandoli nuovi (che è bellissimo quando rileggi un libro, ma nella vita è un po’ un casino).
Come possiamo salvarci da noi stessi?
È semplice: non possiamo. A meno di cambiare e riuscire a trovare quell’equilibrio interiore di cui parlano i santoni buddisti (ma allora serve la grotta, il digiuno, la meditazione, la povertà, tutte cose estremamente fastidiose). La verità è che non possiamo allontanarci, né smettere di interagire con noi, né escluderci dalle nostre decisioni, né troncare ogni rapporto. Noi siamo dentro di noi; come dice quel pazzo drogato, ma profondissimo, di Stacee Jaxx: “Io ci abito qui dentro”. Bisogna trovare un compromesso.
Per adesso tutto quello che riesco a fare è volermi un po’ più di bene, in modo da ridurre la frequenza delle volte in cui desidero inconsciamente fustigarmi in piazza, e cercare di sbattermene le gonadi se qualche volta me ne esco con esternazioni alla Barilla, seguendo l’insegnamento della più grande saggia mai descritta nella letteratura moderna nazional popolare, che disse la ben nota frase: “Dopotutto, domani è un altro giorno!”.

mercoledì 4 settembre 2013

Tette. Un quesito per uomini veri.


No, vabbeh, sarà che sono donna, ma cosa avranno mai poi di così affascinante le tette? Parliamoci chiaro: son due robi mollicci e ballonzolanti (tutte le tette vere ballonzolano, a meno che non siano un abbozzo adolescenziale delle stesse), spesso asimmetrici, talvolta pelosi (ma si può provvedere).
Vogliamo parlare del dolore?
Hé sì, i signori maschi probabilmente non lo sanno, ma in particolari periodi e, se maldestramente manipolate, praticamente sempre, le tette dolgono. Fanno male. Come un livido.

Quindi?
Cosa vi affascina di questa parte anatomica? Che è morbida? Come i lardellottoli di ciccia tra ascella e gomito, cavolo, ma di quelli non ve ne frega nulla (a meno di perversioni particolari).
Che è rosa? Come il palmo delle mani, di cui idem, non vi frega un gran ché.
Che ha una zona più scura in mezzo con un ponfetto? Tipo il morso di una zecca?

No, sul serio, davvero, aiutatemi a capire. Perché io posso anche fare un paragone per cercare di spiegarmi la cosa, ma è un’impresa ardua. Se per esempio le paragono alle palle, i vostri sacchettini di pelle scrotale, non abbiatene a male, ma mi vien tristezza! Perché devo confessarvelo, a noi le palle fanno un po’ senso. E anche il birill(ino/one)o centrale ci piace poco, esteticamente. Quando vi diciamo il contrario – sempre se siamo sincere – è probabilmente perché ne stiamo immaginando l’utilizzo, più che la forma in sé.

Ma lo sapete quanto sono fastidiose le tette?
Parliamo di una media dimensione, diciamo una terza coppa C (una a caso).
Quando corri, saltellano tirando la pelle. Se sei sportiva e cadi in avanti, si schiacciano con dolore. Se sudi si arrossano sotto. La cintura dell’auto le irrita. Se provi a lasciarle libere in una camicetta larga, il capezzolo sfrega e la paghi per giorni. A volte trovi la magliettina della tua vita ma o è troppo scollata o le tette la tirano in su e ti lascia scoperta la pancia.

Vogliamo parlarne?
Anche no. Ma son problemi!
Noi ci consoliamo pensando che:
a)      così è la natura;
b)      a voi maschi piacciono, possiamo usarle per ottenere qualcosa.
Una volta ci guadagnai 25 punti da un distributore di benzina, per ottenere il tostapane omaggio.

Da non credere poi che ci siano donne che se le fanno finte. Certo, i motivi possono essere svariati, non esclusa la malformazione, la asportazione o l’asimmetria, tuttavia per me resta un assurdo vedere donne che se le gonfiano come palloncini di compleanno e poi se ne vanno in giro tutte contente.
Non credo che si vedano belle in sé, penso piuttosto che ricerchino spasmodicamente l’approvazione altrui. Perché due tette da settima non naturali sono veramente una cosa atroce, esteticamente parlando.

In verità io sono un’integralista e per me tutte le tette finte sono un’aberrazione. Rispetto chi se le rifà per i motivi medici di cui sopra, ma preferirei mille volte la versione naturale, se possibile, anche se di una o due taglie inferiore. Ma è lo stesso ragionamento che potrei fare per i denti, per le sopracciglia, per i capelli!
Il busillis è: cos’hanno le tette di tanto speciale?

E non mi rispondete che strizzate nel pushup sembrano un culo, perché non me la bevo. Non si riservano tutte queste attenzioni al culo, e non si è mai sentito di un surrogato che vende di più dell’originale.
Quindi il dubbio resta.
Fatemi capire.
E visto che sono bionda, usate parole semplici.
Grazie.

mercoledì 17 luglio 2013

Prospettive grammaticali

“Non hai mai sbagliato se non hai mai preso l’iniziativa”.
Gran frase. Ma che vuol dire esattamente?

Premetto che, come avrete già capito, a me piace spaccare il capello in quattro, fare la punta alle matite, sviscerare lo sviscerabile. E sono un fantastico avvocato del Diavolo, anche se al momento non ho mai riscosso parcella.
Il senso della frase suddetta dovrebbe essere un incitamento a prendere l’iniziativa fregandosene degli errori, perché non sbaglia mai solo chi non agisce (con l’implicito giudizio negativo sul fatto di non aver agito). Dove l’ho letta? Non lo confesserò mai nemmeno sotto tortura ma era sul profilo di una persona che l’aveva scelta come frase che la rappresentasse e che fosse un biglietto da visita d’effetto per gli altri. Ok, magari sotto tortura lo confesserei.

Chi ha già capito l’inghippo?
In verità, scritta in quel modo, la frase significa: prendere l’iniziativa comporta uno sbaglio.
O_O

Tutta questione di prospettive, sottili, bastarde prospettive.
E ce ne sono a migliaia di errori di questo tipo, ovunque. Trovo che i più carini provengano appunto dalle frasi ad effetto delle presentazioni, assomigliano alle scivolate da star sul tappeto rosso. Mi piacciono proprio, forse perché sono un po’ stronza. Ok, molto stronza.
Ma anche sui quotidiani, in quegli articoli che nessuno rilegge, e nelle inserzioni.

Nella mia famiglia è usanza collezionarle.
“Si realizzano lettini per bambini di ottone”
“Si fanno borse con la pelle dei clienti”
“Fallo in penetrazione”
E così via.

Una volta credevo che certe gaffes fossero semplicemente tollerate con tenerezza; adesso capisco che – a parte casi eclatanti come i bambini di ottone – la gente manco le vede. Per esempio: “Ci sono i virus del raffreddore e dell’influenza. Oltre ai virus mortali, ci sono anche virus che generano semplici malesseri”. Capiamo che i virus del raffreddore e dell’influenza sono mortali, giusto? Ditemi che anche voi capite questa cosa! Mentre il senso era l’esatto contrario.

Se Nanni Moretti urlava che le parole sono importanti, io vi dico che anche l’ordine delle parole è importante. E le virgole.

“Ibis, redibis, non morieris in bello” non è la stessa cosa che “Ibis, redibis non, morieris in bello”!
E chi non sa il latino, cazzi suoi, studiate! (Se non lo uso per ‘sti giochini, a che mi è servito sputarci sangue per cinque anni?)

Perché? Cosa spinge il genere umano verso questa accettazione acritica dell’eloquio?
Siamo diventati meno esigenti? Questa generazione se ne frega del senso delle cose? Si è veramente drasticamente abbassato il QI medio? Preferiamo forse non capire o capire solo ciò che vogliamo? Indubbiamente è meno fastidioso non ragionare sul significato reale di una frase, in particolare se poi è involontario. Ma è davvero solo una questione di comodità?

Credo che la vera risposta sia evidente se ci si eleva da questo argomento di basso profilo e si osserva cosa mostruosamente oggi l’italiano medio accetta acriticamente. Altro che l’ordine e il sottile senso delle parole! Da questa prospettiva, ben vengano i bambini in ottone, che non fan nulla di male a parte pesare un’esagerazione.

Se non fossi bionda, mi vergognerei della mia preoccupazione per la deriva del linguaggio e l’indignazione per l’appiattimento culturale. Per fortuna la mia chioma oro mi permette di affrontare ragionamenti futili con pregnante serietà. E incattivircimi pure.

Come un gatto arruffato sotto la pioggia.

venerdì 21 giugno 2013

La vita è uno ZOT!

Un lungo silenzio non mi si addice. Chi ha il (dis)piacere di conoscermi sa che non sono il tipo che tace o che scompare senza un perchè, rinunciando a dispensare saggezza ai plebei. Eppure, anche io questa volta ho dovuto cedere andando contro la mia logorroica natura.
La verità è che non puoi davvero fare programmi nella vita, o meglio, tu falli pure ma la realtà può in qualsiasi momento mandare tutto all'aria e costringerti a un nuovo gioco.

Il bello è che non ti annoi mai. Il brutto, che di questi giochi non sai mai le regole, che spesso non esistono. Per questo motivo io cerco sempre di non farmi cogliere impreparata e per quanto possibile mi depilo ogni giorno e porto con me un pettine.

Eppure, si rimane sempre stupiti da quanto incredibili e repentini siano i cambiamenti.

Due settimane fa avevo un'altra vita, ero un'altra persona.
(No tranquilli, non mi sono fatta bruna nè rapata a zero...)
Due settimane fa avevo dei progetti per le vacanze, per lo sport che volevo praticare, per lo svago, che oggi non esistono più e sono stati sostituiti da altri, nello spazio di pochi secondi.

Come diceva Beppe Grillo (ai tempi quando ancora cercava solo di far ridere)? La vita è una tempesta ma prenderla nel culo è un lampo.

Scena: il mio suddetto culo è poggiato sulla sella della mia moto, sono in mezzo alla campagna toscana e sto guidando con alcuni amici verso l'appuntamento al ristorante dove mi attende l'uomo che adoro, insieme a una massa variopinta e pittoresca di altri figuri motorizzati, con cui fare casino fino all'alba per due giorni. Sono felice, indipendente, serena; ho portato anche un vestitino sexy da indossare il sabato sera e intravedo la possibilità di tanta ginnastica da camera sana e appagante.
La strada davanti a me è dritta come un fuso, totalmente sgombra, c'è il sole, piena visibilità e non sto andando a più di sessanta all'ora perchè sono in terza (48 cavalli, va bene?!).

C'è solo un apecar. Un piccolo, lentissimo, insignificante apecar che le moto che mi precedono hanno appena sorpassato.

Sono libera e felice. Apecar. Piena visibilità. Apecar rallenta. Allargo per il sorpasso. Apecar quasi fermo. Sto superando l'apecar. Apecar svolta a sinistra in una azienda agricola.

Non sono in grado di riprodurre la sequenza di improperi che si sono materializzati tra le pieghe del mio cervello, mentre cercavo di voltare anche io a sinistra frenando al meglio su una strada di campagna ai cui lati c'è brecciolino. Ma era da oscar del turpiloquio.
Ci siamo speronati, nell'impatto la moto si è ribaltata e io sono stata scagliata oltre il ciglio della strada passando tra due cipressi decorativi, che avrebbero potuto decorare abbondantemente il mio corpo, se li avessi centrati. Sono atterrata di schiena su un prato.

Sono stata fortunatissima, nella sfiga. Ho rotto solo la mano destra, schiacciato e scorticato due dita, stirato un tendine della gamba, qualche contusione. Abbastanza distrutto la moto.
E da quell'attimo tutto il mio futoro è cambiato (ma sarebbe potuto cambiare molto di più, intendiamoci).

Niente più finesettimana col mio uomo e con motorizzati figuri pittoreschi. Niente ginnastica. Ma anche: un intervento chirurgico, il gesso, la prospettiva di non poter usare la mano destra per mesi (no, non sono mancina, ovviamente). Non posso guidare, non posso scrivere o firmare, non sono autonoma, non riesco nemmeno a tagliarmi la carne nel piatto e non chiedetemi come faccio a depilarmi (attingo al blond power). Non posso andare a lavorare, non posso fare sport, non avrò una mano destra funzionante almeno fino a settembre e se le unghie faranno il piacere di ricrescere, prevedo la prossima passata di smalto dopo Natale. Non vado più in ferie col fidanzato, perchè mi ha improvvisamente mollato per telefono quindici giorni fa senza che da quel nefasto week end ci rivedessimo. Ma sono viva.

In qualche altro universo quantico sono morta o rimasta paralizzata o in coma. Certo, ce ne saranno anche altri in cui quel cazzo di apecar non esiste, o non svolta. Ma io sono in questo qui e con questo devo fare i conti. Devo guarire dalle ferite, interne ed esterne, prendendomi tutto il tempo che serve. Devo accettare il fatto che sono cambiata. Devo farmi aiutare perchè non riesco più a fare tutte le cose che facevo prima e devo ammettere questo nuovo limite trasformandolo in opportunità (di sfruttamento del prossimo).

Sono bionda, posso farcela.

Ovviamente la prima cosa che ho fissato appena uscita dall'ospedale è stata un appuntamento dalla mia parrucchiera!
(il lupo perde un po' di pelo, ma nemmeno l'alone del vizio)

martedì 2 aprile 2013

Testa la tua biondaggine


Essere bionde è uno stile di vita.
Per come la vedo io, non c’entra molto il colore dei capelli, quanto quello dell’anima. Assomiglia alla teoria del ‘vaffanculo’ di cui ho sentito spesso parlare: un approccio olistico nichilista alle vicende della vita che ti porta a pronunciare spesso la suddetta espressione, come un mantra.

Mi sono chiesta: cosa vuol dire davvero essere bionda dentro?
Al di là dell’essere spassosamente incasinate, fantasticamente variopinte e imprevedibili, dare più ascolto ai propri impulsi emotivi che alla ragione, fare dell’incoerenza la propria coerenza, avere percorsi logici da D&D, devono esserci delle caratteristiche base comuni, dei segni premonitori!

E’ possibile stilare un elenco di atteggiamenti riconducibili alla condizione di biondaggine? E se sì, possiamo usarli come test per scoprire quanto siamo bionde?
(La versione maschile è in allestimento).

Vuoi sapere quanto sei bionda? Se rispondi no, perché sai esattamente qual è la tonalità dorata delle tue ciocche, sei perfetta per questo test.

1. Appena alzata il primo pensiero è valutare se devi legarti i capelli che si possono essere spettinati dormendo. Il secondo è ovviamente verso la fame nel mondo, le guerre e le ingiustizie.

2. La maggior parte del tempo al mattino viene utilizzata per scegliere il corretto abbinamento scarpa, borsa, giacca e umore. Questo per agevolare amici e colleghi, che dal tuo abbigliamento quotidiano possono dedurre come ti senti.

3. Se devi portare con te qualche cosa in più del solito che non entra nella borsa che hai già scelto, aggiungi un sacchetto colorato. Se devi portarne due, due sacchetti e così fino a un massimo di quattro (poi scatta la modalità ‘miserveunaccompagnatore’). Oltre ad essere un metodo pratico per affidare gli oggetti ad aiutanti occasionali, ti rende simpaticamente eccentrica.

4. La tua borsetta è perfettamente equipaggiata per sopravvivere in qualsiasi occasione. Contiene: pettine, salviette, salvaslip, cerotto, smalto per unghie, limetta, pinzette, lucidalabbra, specchietto, fondotinta e/o correttore, fazzolettini profumati, fermagli/elastici, spilla da balia, bigliettini da visita con i riferimenti di prima necessità (parrucchiere, ristorante preferito, fisioterapista figo, centro estetico…), penna, gioielli di ricambio per la sera, gomma da masticare/caramella di menta per l’alito (tuo, ma più spesso di altri)… oltre a cellulare, documenti, chiavi e portafoglio rosa.
E, ovviamente, barbiturici.

5. Quando parcheggi, un posto NON vale l’altro. La gradazione cromatica delle auto accanto e lo stato dell’asfalto davanti alla tua portiera sono determinanti. Lo spazio per scendere, la difficoltà di parcheggio, la lontananza dal posto in cui devi andare sono invece irrilevanti.

6. La tua destrezza è superlativa e ti permette di compiere operazioni che altre persone non sono in grado di fare, come metterti il rossetto in rotonda, sbagliare l’entrata con l’uscita del silos e riuscire a entrare lo stesso, farti riparare la messa in piega dalla pioggia con la giacca di un amico rendendolo felice di farlo, camminare con un tacco 12 su marciapiedi costellati di escrementi guardando il cielo, senza pestarne uno.

7. In ufficio riesci sempre dove gli altri falliscono per il tuo non convenzionale approccio ai problemi; sei simpatica al capo perché non ti accorgi della maggior parte dei suoi difetti; sei simpatica ai colleghi che fanno a gara a farti dei favori; sei simpatica alle colleghe o almeno così hai sempre pensato.

8. Sei affabile. Non ti arrabbi mai al punto che una nuova borsetta di Prada non possa sanare la situazione; nelle relazioni sentimentali chiarisci sempre le priorità (una sera è per le amiche, una per il fisioterapista e al mercoledì c’è Sex&TheCity); ami la semplicità di un mazzetto di fiori di campo regalato d’impulso in un vaso Richard Ginori; quando sei triste ti bastano tre piani d’esposizione di scarpe per ritrovare il buonumore.

9. Non sei multitasking, non riesci a guidare leggendo i cartelli, pensare telefonando, digitare al computer controllando ciò che hai digitato. Ma quando ti dedichi a qualcosa/qualunco, lo fai completamente, con tutta te stessa.

10: I tuoi percorsi neurali sono rallentati rispetto alla media, il che ti comporta qualche disagio, come non collegare i nomi alle facce, dimenticarti ciò che ti hanno appena detto, perdere continuamente il segno quando leggi. Tuttavia, se qualcuno ti dice una cattiveria te ne accorgi dopo, dandogli tutto il tempo di rimediare.

Se ti sei riconosciuta in almeno sei di questi punti, probabilmente la tua anima ha notevoli sfumature caramello. Se invece ti sei riconosciuta in più di sei punti, decisamente la tua anima è bionda.
Se non hai capito bene di cosa sto parlando, sei biondo platino.